Amare nella differenza. Le forme della sessualità e il pensiero cristiano

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Livio Melina e Sergio Belardinelli hanno curato l’edizione di un importante volume uscito quest’anno per i tipi di Cantagalli e della Libreria Editrice Vaticana, dal titolo “Amare nella differenza. Le forme della sessualità e il pensiero cristiano”. Si tratta di un lavoro a carattere scientifico, metodologicamente molto curato e di vaste proporzioni, che raccoglie contributi di 29 esperti di diverse discipline di chiara fama internazionale. Ciascun contributo è proposto nella lingua scelta dall’autore (tra italiano, inglese, francese e spagnolo) ed è seguito da una sintesi in 4 lingue. La prefazione è del Cardinale Levada, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede in carica quando è uscito il volume. Naturalmente non posso pretendere di rendere conto in una recensione di un tale sforzo di ricerca e di riflessione. Tenterò di evidenziare solo alcune questioni di fondo che mi sembrano importanti per facilitare una lettura unitaria dei diversi contributi.

Innanzitutto la questione del metodo. Gli articoli raccolti nel volume sono il risultato di un seminario di studio di alcuni giorni organizzato per discutere apertamente e sotto diversi profili disciplinari delle problematiche inerenti il tema della sessualità, come si sta configurando nel mondo di oggi, soprattutto per l’imporsi della mentalità omosessualista nella cultura e nelle legislazioni nazionali e sovranazionali. I contributi dunque sono il frutto di una discussione che ha permesso di individuare alcuni fondamenti comuni per una lettura organica dei diversi interventi. La scelta dell’interdisciplinarità è molto significativa, perché riflette il rispetto per la complessità della materia, che non si lascia ridurre ad approcci univoci o semplicistici. La cultura cristiana infatti si sta confrontando con una mentalità fondata su slogan reiterati e luoghi comuni non adeguatamente riflettuti, ed è quindi assai opportuno non lasciarsi trascinare in questa deriva semplicistica. Il rispetto dovuto a ogni essere umano, anche in errore, esige un approccio serio e approfondito a problemi che toccano profondamente la vita concreta degli esseri umani. Già sotto questo profilo il libro costituisce un autentico contributo al progresso nella comprensione di fenomeni che approcci tendenziosi in voga tendono a banalizzare e quindi a falsificare.

Un’importante acquisizione testimoniata dal volume riguarda la questione dell’apporto della cultura cristiana al progresso delle culture umane. La scelta del’approccio multidisciplinare mostra chiaramente la convergenza di materie tanto diverse – dalla biologia alla giurisprudenza, dalla psicologia alla filosofia, dalla teologia alla sociologia… – verso esiti compatibili e complementari. Dalla molteplicità dei punti di vista si afferma quindi l’unità ineludibile del dato reale, che conferma la lettura dell’umano data dall’antropologia “cristiana”. La consonanza e la fedeltà dell’approccio cristiano alla realtà dunque non produce un’antropologia confessionale, ma uno strumento di valore universale a disposizione dell’umanità per giungere a una migliore conoscenza di sé. Questioni come quella dell’identità uomo-donna reciproca e complementare, della vocazione all’amore, del valore simbolico-sacramentale del corpo, custodite e sviluppate dalla Chiesa, si dimostrano chiavi interpretative irrinunciabili e universali per orientarsi correttamente tra i dati confusi e contraddittori delle società contemporanee, dove il caos e l’assurdo sembrano prevalere sulla percezione del bene dell’esistenza. Sullo sfondo emerge la grande difficoltà della mentalità occidentale odierna di riconoscere un rapporto equilibrato tra natura e cultura. La natura, il dato donato, viene continuamente negato a favore di un riduzionismo culturalista, che, in una forma o in un’altra, continua a voler “decostruire” ogni cosa per “liberare” l’uomo dalle costrizioni della cultura, che si nasconderebbero dietro il concetto di natura. Nella notte del relativismo, Penelope continua a disfare la sua tela, che però alla luce del sole della vita concreta viene inevitabilmente ritessuta, perché la natura non può essere cancellata dagli intellettuali. Il cristianesimo offre anche in questo campo l’orientamento necessario per uscire dall’impasse, riconoscendo la realtà donata, che però può esprimere la propria consistenza solo se compresa in una cultura ad essa adeguata.

La questione della lingua gioca un ruolo fondamentale in un campo caratterizzato da slogan e da rivendicazioni molto gridate e poco meditate. A cominciare proprio dal termine “omosessuale”, universalmente utilizzato, ma che in sé andrebbe ridiscusso. Innanzitutto perché è contrario a ogni logica etichettare una persona con qualche sua pulsione erotica, reale o presunta. In questo senso anche il sintagma “persona omosessuale” è fortemente riduttivo. Si dovrebbe preferire l’espressione “persona con tendenze omoerotiche”. È interessante da questo punto di vista constatare come nella tradizione cristiana, dalle origini in contesto pagano a tutto il Medioevo, si preferiva parlare di atti concreti “contro natura”, evitando di riferirli a categorie umane definite sulla base di tali atti. Un altro inconveniente del termine “omosessuale” sta nel fatto che in sé contiene una contraddizione di termini, un ossimoro. Il termine “sesso” (dal latino “secare”) etimologicamente indica una differenza radicale, irriducibile, polarizzata, pertanto l’associazione con il prefisso “omo-” è paradossale, in realtà suona come suonerebbe “bassoalto” o “giovanevecchio”. È di gran lunga preferibile parlare di “omoerotico”, perché di questo si tratta. Va da sé che il termine “eterosessualità”, coniato a partire dal precedente, è una ridicola ridondanza, una tautologia non innocente che andrebbe sistematicamente rifiutata. Questa specificazione non è una sorta di puntiglio intellettualistico, ma tocca una questione cruciale. Le pratiche omoerotiche infatti non sono in nessun modo, nonostante la confusione linguistica, un’alternativa alla cosiddetta “eterosessualità”. Esiste una sola possibilità di esercizio della sessualità, dell’alterità psicofisica, ed è tra uomo e donna, il che evidentemente non impedisce che si diano molteplici forme di erotismo, rivolte a soggetti non “altri”, ma dovremmo stare bene attenti a non definirli come “sessualità”.

Da parte sua, l’ideologia gay ha consapevolmente elaborato un vocabolario semplice e immediato per facilitare la diffusione delle idee che voleva promuovere, ma una semplice lettura attenta dei termini ne rivela l’inconsistenza. Limitandoci al termine “gay”, ormai comunemente usato per indicare qualunque persona con tendenze omoerotiche, se ne constata una duplice infondatezza. Innanzitutto non chiunque avverte pulsioni omoerotiche accetta una tale ideologia: sono molti coloro che pur avvertendo queste tendenze, rifiutano di riconoscersi in un ambiente così aggressivo e ideologizzato. Inoltre la scelta del termine gay, che vorrebbe indicare esistenze felici e realizzate, serve a mascherare vissuti ben diversi, condizionati dall’erotizzazione di relazioni irrisolte a livello infantile e adolescenziale, di natura regressiva e quindi tendenzialmente depressive. Un’ideologia e un linguaggio (“outing”, “omofobia”, “matrimonio gay”…) che tendono a proiettare all’esterno, nelle rivendicazioni sociali, insopprimibili e inconfessati conflitti interiori.

Naturalmente l’ideologia gay si muove all’interno della “teoria del gender”, adottata a partire dalla quarta Conferenza sulla Donna di Pechino (1995) dagli organismi internazionali e quindi dalle legislazioni di molti Stati. La teoria del gender promuove un’antropologia fortemente divisiva, le cui radici moderne vengono opportunamente individuate nella divisione cartesiana tra il soggetto pensante e il mondo materiale, divisione in cui il corpo si riduce a una sorta di macchinario mosso dal soggetto pensante, un macchinario non sempre docile e corrispondente ai desideri dell’io cosciente. Con il termine “gender” una tale contrapposizione è diventata ormai generalizzata e parossistica, al punto che nella definizione dell’identità personale il corpo, con la sua radicale determinazione sessuale, perde ogni significato, mentre le pulsioni del soggetto diventano l’unico elemento di definizione identitaria, dimenticando deliberatamente l’instabilità e la contraddittorietà del desiderio. La teoria del gender inchioda l’uomo a pulsioni aleatorie regressive e autodistruttive. Un paradosso raccapricciante che costringe costantemente l’autocoscienza al conflitto o comunque a un atteggiamento critico contro la propria corporeità. Una concezione inevitabilmente patogena a livello personale come a livello di relazioni sociali.

La questione centrale di questo studio ampio e articolato, la sua motivazione profonda, è comunque la questione della carità, vale a dire  dell’amore di Dio per ogni uomo in ogni condizione, che la Chiesa ha il dovere di rendere presente all’umanità. Nel nostro volume si avverte chiaramente che la carità si realizza al punto d’incontro tra ragione e fede, dato che la carità non sussiste senza la verità, e l’accesso alla verità non è immediato né scontato. L’articolazione del volume, che coniuga il dato rivelato, la tradizione della Chiesa e i risultati della scienze, persegue la comprensione del reale per offrire all’uomo di oggi l’aiuto e la speranza smarrite dall’imperativo della falsa “realizzazione individuale”. La prassi legislativa attuale, sempre di più, tende a rispondere a una condizione di sofferenza, di grave costrizione interiore, con un riconoscimento culturale e legale che finisce per incastrare le persone nei propri conflitti interiori, derubricati ideologicamente alla categoria dei “diritti”. Di fronte alle rivendicazioni urlate e istituzionalmente incoraggiate del mondo gay, la Chiesa invece è chiamata a riconoscere il grido di dolore in esse nascosto, una richiesta di liberazione e di misericordia, per rispondere indicando la sorgente stessa della redenzione, che nasce dall’Incarnazione del Figlio di Dio, dall’assunzione da parte dell’Autore della vita della natura umana sessuata. La radicalità della differenza uomo – donna, illuminata dalla visione cristiana, non è infatti un ostacolo né una limitazione alla felicità individuale, ma una vocazione da perseguire con coraggio anche quando risulti difficile e faticoso, a causa della propria storia o dei propri errori, un percorso necessario e salutare per superare lacerazioni e inconsistenze che condizionano l’esistenza di tanti nostri contemporanei. Come il nostro volume dimostra, la Chiesa non combatte persone, ma solo la menzogna astratta e impersonale dietro cui spesso tutti, in un modo o in un altro, abbiamo la tentazione di nasconderci, offrendo così agli uomini l’indicazione non equivoca della vera realizzazione di sé, possibile solo in armonia con la volontà di Dio.

Mons. Antonio Grappone

BELARDINELLI SERGIO, MELINA LIVIO (A CURA DI)

Editore: Cantagalli – Libreria Editrice Vaticana

Data di Pubblicazione:  2012

Magistero Pontificio

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