Preface du volume des Actes du Séminaire

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di S.E. mons. Stanisław Ryłko

L’attività sportiva, che risale agli albori della storia dell’umanità, ha assunto nella nostra epoca, e come mai prima, carattere di consolidato fenomeno di massa. Secondo vari studiosi, con la sua capacità di coinvolgere su scala planetaria folle enormi e di superare barriere geografiche, sociali, economiche e linguistiche, lo sport costituisce oggigiorno una delle componenti più universalmente riconosciute della cultura popolare. 

Il coinvolgimento emotivo e non di rado “totalizzante” che la pratica sportiva e le manifestazioni sportive generano nelle persone, unito al processo di globalizzazione e alle moderne tecnologie della comunicazione di massa, fa dello sport un generatore di esperienze forti che possono esporre però a gravi rischi. Il fenomeno dello sport è oggi in mano a una influente quanto florida “industria del tempo libero” che produce sogni di potenza e di successo per milioni di individui. Lo sport è spesso vissuto come una sorta di “estasi” per distaccarsi dal grigiore del quotidiano. Come scrive qualcuno, «nello sport possiamo scoprire il senso euforico dell’interezza, dell’autonomia e della potenza che ci sono spesso negate nei desolati percorsi della routine, destino della maggior parte degli uomini e delle donne». Nella vita di molti lo sport assume quindi un’importanza che va ben oltre i confini del semplice divertimento o dell’intrattenimento. Per tanti nostri contemporanei lo sport è assurto a stile di vita, a elemento essenziale per soddisfare esigenze basilari quali l’autostima e la realizzazione di sé, a fattore che determina oltre all’identità e all’appartenenza, il senso stesso della vita. Ma c’è di più: lo sport è diventato un vero e proprio surrogato dell’esperienza religiosa. Nella società secolarizzata gli spettacoli sportivi hanno paradossalmente assunto il carattere di rituali collettivi di grande suggestione. E stadi e palestre, quello di templi del “nuovo culto”. A questo processo, tipico dei nostri giorni, si accompagna un profondo cambiamento del rapporto dell’uomo con il proprio corpo. Dall’attenzione alla propria salute e alla cura del corpo si è, infatti, passati al culto del corpo e della forma fisica. Per conseguire un’immagine conforme ai canoni della mentalità dominante non ci si sottrae a sacrifici di sorta, non si esita a sottoporsi a duri esercizi fisici, a diete rigorose, a rischiose terapie farmacologiche e chirurgiche. Il corpo è ormai diventato materia grezza da plasmare a piacimento, secondo il diktat perentorio delle mode del momento.

La crisi in cui è immersa la cultura postmoderna, vuota di valori e infarcita di disvalori figli di una mentalità nichilistica che riduce il senso della vita umana alla ricerca sfrenata del piacere e al consumo, ha ripercussioni profonde anche sul mondo dello sport. Oggi la pratica sportiva lungi dal puntare a una sana crescita della persona si tramuta sempre più spesso in minaccia per l’uomo; invece di orientarlo alla libertà, lo rende sempre più schiavo: di sé stesso, delle mode imposte e degli interessi che si celano dietro le manifestazioni sportive. Le cause di questo processo che snaturano lo sport sono molteplici. Tra le più importanti e in primo luogo, il condizionamento delle ormai imperanti leggi di mercato. La dimensione economica, presente nello sport sin dall’antichità, diviene però predominante ai nostri giorni, profilando lo sport come un vero e proprio ramo dell’economia. Lo sport è diventato un gigantesco affare economico con tutte le conseguenze negative del caso. E, del resto, la sua stessa spettacolarizzazione ne fa un oggetto di consumo fra tanti altri; nel caso specifico, il consumo di risultati e record. Ecco perché la ricerca della vittoria a ogni costo, della vittoria da perseguire anche con mezzi illeciti. Doping e anabolizzanti non fanno quasi più notizia, tanto il loro uso è diffuso. Eppure, compromettono il senso stesso della competizione sportiva. Eppure attentano alla dignità della persona, considerata e trattata in maniera puramente strumentale, esclusivamente in funzione della resa massima che può dare a prescindere dai limiti delle possibilità umane. Né mancano interferenze di tipo ideologico-politico che tendono a prospettare il rendimento sportivo come indice della superiorità di un sistema o di una nazione. Ecco allora che l’agone sportivo invece di unire diventa fattore di divisione e di contrapposizione non solo tra squadre in gara, ma fra popoli interi. Per non parlare della grande ombra che sul mondo dello sport gettano oggi una competitività esasperata e, non di rado, gravi forme di violenza.

Tuttavia, lo sport di oggi non va ridotto al fenomeno degli abusi e delle devianze. Occorre resistere alla tentazione di demonizzarlo in blocco. Perché il quadro sconfortante dei mali che affliggono questo universo vasto e diversificato non ne esaurisce tutta la realtà. Nel mondo dello sport ci sono ancora ambienti sani e persone che si adoperano con generosità per richiamare e ridare spazio all’ideale di uno sport che sia vera scuola di umanità, di virtù, di vita. Esse rappresentano un importante segno di speranza, e non solo per il futuro dello sport. Perciò non vanno lasciate sole. Anche nello sport, infatti, a essere in gioco sono soprattutto l’uomo e la cultura, sostrato indispensabile di una vita veramente umana.

Nell’animato dibattito sullo sport – cui prendono parte sociologi, psicologi, antropologi, giornalisti di radio, televisioni e carta stampata, nonché gente comune appassionata di sport – non manca l’autorevole parola della Chiesa. Tra i papi del Novecento che se ne sono occupati, Giovanni Paolo II è certamente colui che allo sport e alla corporeità ha dedicato maggiore attenzione. Egli non solo ha parlato dello sport, ma lo ha praticato perfino durante il pontificato. Per questo, i suoi incontri con gli sportivi e i suoi discorsi sull’argomento hanno sempre avuto una valenza particolare. Per questo, gli atleti riconoscevano in lui uno che era davvero partecipe della loro esperienza.

Papa Wojtyła ha affrontato il problema dello sport con grande realismo, cioè con la consapevolezza che «accanto a uno sport che aiuta la persona, ve n’è [...] un altro che la danneggia; accanto a uno sport che esalta il corpo, ce n’è un altro che lo mortifica e lo tradisce; accanto a uno sport che persegue nobili ideali, ce n’è un altro che rincorre soltanto il profitto; accanto a uno sport che unisce, ce n’è un altro che divide». Malgrado queste ambivalenze, egli era profondamente convinto che la pratica sportiva debba essere considerata non solo come fonte di benessere fisico, ma «come ideale di vita coraggioso, positivo, ottimista, come mezzo di rinnovamento integrale della persona e della società». Giovanni Paolo II ha sempre sottolineato con forza la dimensione educativa dello sport, che può favorire l’affermarsi di valori importanti quali l’amore alla vita, lo spirito di sacrificio, la lealtà, la perseveranza, il rispetto dell’altro, l’amicizia, la condivisione, la solidarietà. 

Per raggiungere questi alti obiettivi lo sport deve, però, riscoprire il suo ethos più profondo e obbedire al principio basilare del primato dell’uomo. Il Papa richiamava perciò a una sana impostazione della pratica sportiva affinché «lo sport non viva per sé stesso, correndo così il rischio di ergersi a idolo vano e dannoso», ma diventi «strumento significativo per lo sviluppo globale della persona e [...] per la costruzione di una società più a misura d’uomo. [...] Così inteso, lo sport non è un fine, ma un mezzo; può divenire un veicolo di civiltà e di genuino svago, stimolando la persona a porre in campo il meglio di sé e a rifuggire da ciò che può essere di pericolo o di grave danno a sé stessi o agli altri». Per papa Wojtyła il mondo dello sport è, insomma, un importante areopago dei tempi moderni che aspetta apostoli pronti ad annunciare coraggiosamente il Vangelo di Gesù Cristo.

E proprio il rapporto tra sport ed evangelizzazione è stato l’ambito tematico del Seminario internazionale “Il mondo dello sport oggi: un campo d’impegno cristiano”, di cui il presente volume raccoglie gli atti. Promosso dal Pontificio Consiglio per i Laici, il seminario si è svolto a Roma nei giorni 11-12 novembre 2005 e ha segnato l’inizio ufficiale dell’attività della Sezione “Chiesa e sport” istituita in seno al Dicastero nel 2004 per volontà di Giovanni Paolo II, con la finalità di essere un punto di riferimento, nell’ambito della Santa Sede, per le organizzazioni sportive nazionali e internazionali, e una sorta di “osservatorio” del mondo dello sport al servizio dell’evangelizzazione, compito fondamentale della Chiesa.

 

La prima parte dei lavori si è aperta con un excursus storico sull’attività sportiva dall’antichità ai giorni nostri presentato dalla dott.ssa Maria Aiello, esperta di storia dello sport e di diritto sportivo, che ha affrontato diverse questioni legate alla nascita del fenomeno sportivo: dal legame tra attività fisica e pedagogia, all’elaborazione di un diritto dello sport, ai rapporti con la politica, alla dimensione sempre più rilevante delle implicazioni economiche, alle imprescindibili istanze etiche. È stata quindi la volta del prof. Dietmar Mieth, docente di Teologia morale presso l’Università di Tübingen (Germania), che ha parlato dello sport nella società e nella cultura contemporanea sottolineando valori e principi sulla cui base elaborare un’etica cristiana dello sport. Le due relazioni sono state seguite da una tavola rotonda sul tema “Problemi e sfide dello sport oggi” con interventi su “sport e business”, “sport e violenza”, “sport e doping”, “sport e media”.

 

La seconda fase dei lavori, incentrata sulle varie opportunità che lo sport offre alla Chiesa per il compimento della sua missione evangelizzatrice soprattutto tra i giovani, si è aperta con la relazione “Lo sport: risorse di rinnovamento e prospettive” tenuta dal sig. Edio Costantini, presidente del Centro Sportivo Italiano, che ha messo in luce la dimensione educativa e formativa dello sport rifacendosi anche alla ricca tradizione italiana dell’oratorio, modello sempre valido e via sempre percorribile. È quindi seguita la relazione di mons. Carlo Mazza, Direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale del tempo libero, turismo e sport della Conferenza episcopale italiana, su “Lo sport alla luce del magistero della Chiesa”. Presentando una sintesi degli insegnamenti dei pontefici sullo sport, mons. Mazza ha fornito stimolanti linee guida sia per individuare nuove modalità di presenza cristiana in questo campo, sia per valorizzare risorse e strutture già esistenti. La tavola rotonda sul tema “Lo sport: frontiera della nuova evangelizzazione” ha registrato interventi sull’associazionismo cattolico e sul ruolo dei cappellani nello sport, la pastorale nei grandi eventi e la presenza cristiana nelle istituzioni sportive. Nel dibattito che è seguito si è posto soprattutto l’accento sul ruolo degli allenatori nella formazione umana e spirituale degli atleti, rilevando il dato di fatto che, ad esempio, in alcuni Paesi i bambini passano solo venti ore all’anno con un catechista, ma spesso più di duecento con un allenatore che li segue in attività sportive gestite da parrocchie o scuole cattoliche.

 

Come sottolineato nell’intervento conclusivo dal Segretario del Dicastero, S.E. mons. Josef Clemens, è indubbio che il primo passo verso una più organica azione pastorale della Chiesa nel mondo dello sport deve essere l’impegno di diffondere i principi di una sana antropologia che riconosca e valorizzi tutte le dimensioni della persona.

 

Al Seminario hanno partecipato 45 persone provenienti da 18 Paesi con diverse esperienze nel campo dello sport: studiosi, dirigenti di associazioni sportive cattoliche, atleti professionisti, allenatori, commissari tecnici e rappresentanti delle Conferenze episcopali di Austria, Germania, Ungheria, Italia e Polonia che hanno creato al proprio interno “Uffici per la pastorale dello sport”.

 

Segno della sollecitudine con cui la Chiesa guarda a questa importante dimensione della cultura contemporanea e riconoscimento del potenziale educativo e di sviluppo della persona umana insito nell’attività sportiva, la creazione della Sezione “Chiesa e sport” ha raccolto vasti consensi tra gli addetti ai lavori di tutto il mondo. Numerosi ci hanno scritto per esprimere il desiderio che la Chiesa contribuisca alla soluzione dei gravi problemi che affliggono lo sport. In considerazione anche di queste aspettative, il seminario ha trattato lo sport come “campo d’impegno” per i cristiani e per tutti gli uomini di buona volontà, puntando a stimolare la ricerca di vie che possano realmente restituire allo sport il suo vero volto e ricondurlo alle radici dei grandi ideali che lo hanno animato lungo la storia.

 

Nel suo Messaggio per la ventesima edizione dei Giochi Olimpici invernali, Benedetto XVI scrive che il Verbo incarnato, luce del mondo, «illumina l’uomo in ogni sua dimensione, compresa quella sportiva. Non vi è nulla di umano, eccetto il peccato, che il Figlio di Dio, incarnandosi, non abbia valorizzato [...] Tra le varie attività umane vi è quella sportiva, che attende anch’essa di essere illuminata da Dio mediante Cristo perché i valori che esprime siano purificati ed elevati sia a livello individuale che collettivo».[14] “Esperta in umanità” (Paolo VI) e “buona samaritana dell’umanità” (Giovanni Paolo II), la Chiesa è chiamata a portare la luce di Cristo soprattutto dove l’umanità rischia di smarrirsi, compromettendo i doni che il Creatore le ha fatto.

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