Mons. Clemens illustra il significato del Congresso

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In occasione del viaggio a Yaoundé, in Camerun, dove S.E. mons. Josef Clemens si è recato per occuparsi dell’organizzazione del Congresso panafricano dei laici cattolici, il segretario del Pontificio Consiglio per i Laici ha rilasciato un’intervista che illustra il significato e gli scopi del Congresso, mettendo in evidenza tutta l’attenzione della Chiesa universale per il continente africano.

Il viaggio, che si è svolto alla fine del mese di gennaio (vedi la galleria fotografica), ha motivato fortemente gli organizzatori vaticani e camerunensi, dando grande impulso all’organizzazione logistica del Congresso. Mons. Clemens, accompagnato dal dott. Nava Ureña dello staff del dicastero, ha incontrato il nunzio apostolico mons. Piero Pioppo, il presidente della Conferenza dei vescovi del Camerun mons. Joseph Atanga, S.I., l’arcivescovo di Yaoundé, mons. Simon-Victor Tonyé Bakot, il rettore del Seminario maggiore P. Philippe Mbarga, il rettore dell’Università cattolica dell’Africa Centrale padre Richard Filakota, e mons. Jean Mbarga, vescovo di Ebolowa e consultore del Pontificio Consiglio per i Laici. È stato possibile, così, visitare i luoghi dove si terrà il Congresso, la cattedrale di Yaoundé e la basilica minore Regina degli Apostoli di Mvolyé e, soprattutto, prendere contatti diretti con chi porterà avanti l’organizzazione sul luogo.

La professoressa Silvia Recchi, docente presso l’Università Cattolica dell’Africa Centrale, ha accompagnato mons. Clemens e il dott. Nava nei loro sopralluoghi, ed ha raccolto l’intervista che ci ha gentilmente concesso di riprendere dal sito della Comunità Redemptor Hominis di cui è membro, e che qui di seguito pubblichiamo.

 

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RISCOPRIRE LA DIGNITÀ DEL BATTESIMO

Intervista a Mons. Joseph Clemens

a cura di Silvia Recchi*

 

Eccellenza, le auguriamo il benvenuto in Camerun. Qual è lo scopo del suo viaggio e del suo soggiorno a Yaoundé?

Sono venuto a Yaoundé per preparare un Congresso panafricano dei laici cattolici ed esprimere così l'interesse e il sostegno della Chiesa universale nei confronti della Chiesa in Africa. Questo Congresso "Essere testimoni di Gesù Cristo oggi in Africa", si terrà dal 4 al 9 settembre 2012 e rientra nel quadro delle attività del Pontificio Consiglio per i Laici che ha scelto il Camerun per l'avvenimento; il paese offre infatti delle condizioni strutturali e sociali favorevoli per la sua organizzazione. Sono perciò venuto a Yaoundé per verificare i vari aspetti logistici e mettere in moto la preparazione del Congresso, in collaborazione con la Chiesa locale che vi svolge un ruolo importante. Ho incontrato il Presidente della Conferenza Episcopale Nazionale, i Vescovi collaboratori con il nostro Dicastero e tutte le persone implicate nell'organizzazione del Congresso. A tutti ho avuto la gioia di trasmettere i saluti e la benedizione del Santo Padre con il quale mi sono intrattenuto telefonicamente prima di partire e che ha voluto esprimermi il suo affetto speciale per l'Africa; Benedetto XVI mi ha pregato di trasmettere questi suoi sentimenti particolari.

Cosa ha motivato il Pontificio Consiglio per i Laici a progettare questo Congresso?

L'idea è nata dall'esperienza del Congresso organizzato per il continente asiatico, a Seul, in Corea del Sud, nel mese di settembre 2010: questa grande assise è stata senza dubbio un successo. Abbiamo allora pensato al continente africano che molti credono abbandonato, ma che non lo è affatto: la Chiesa infatti lo considera un continente di speranza. Abbiamo pensato in particolare all'Africa "nera", l'iniziativa per il momento esclude l'Africa del Nord che ha una problematica ecclesiale differente. Lo scopo del Congresso è quello di prolungare, per così dire, i viaggi del Papa in terra africana, in maniera che essi non si riducano soltanto ad una presenza di qualche giorno e che i suoi discorsi e interventi continuino ad essere approfonditi. Il Congresso si terrà alla luce di quattro documenti fondamentali, cioè l'esortazione Christifideles laici (1988) - che resta per noi la Magna Charta dell'apostolato dei laici di cui vogliamo far scoprire tutta l'attualità - l'enciclica Redemptoris missio (1990), le due esortazioni che hanno fatto seguito ai Sinodi sulla Chiesa in Africa, Ecclesia in Africa (1995) e Africae munus (2011); esso vuole essere ugualmente una rilettura dei discorsi di Benedetto XVI nei suoi viaggi in Camerun e in Angola nel 2009 e in Benin nel 2011. Il Congresso mira essenzialmente ad approfondire l'identità dei fedeli laici e l'importanza del loro impegno in Africa. Vogliamo riunire delle persone capaci di ascoltare, di riflettere, di partecipare attivamente e che, in seguito, possano trasmettere nelle loro comunità ecclesiali i frutti del Congresso. I partecipanti saranno accompagnati da un certo numero di Cardinali, Vescovi e sacerdoti, in segno di comunione ecclesiale.

Quale messaggio crede poter rivolgere ai fedeli laici d'Africa di fronte alle numerose sfide sociali, culturali e religiose proprie di questo continente?

Il primo punto, a mio parere, è prendere coscienza del senso profondo del battesimo e della dignità battesimale. Il battesimo non è una cerimonia, un rito, un titolo onorifico o una tradizione in seno alla famiglia, ma una realtà che ci trasforma profondamente: mediante il battesimo diventiamo uomini nuovi. Si tratta allora di "decifrare" gli elementi di questa novità, di riscoprire il suo dinamismo con tutte le conseguenze per la vita di un cristiano in Africa. Il battesimo crea anche una vita di relazione con gli altri, una comunità di credenti che va al di là delle etnie, delle frontiere nazionali, delle differenze culturali. Ci rende membri di una grande famiglia, per utilizzare un'immagine che è cara ai fedeli africani, appartenenti alla Chiesa-famiglia di Dio. Bisogna scoprire la profondità di questa grazia nella quotidianità.

La nostra Comunità "Redemptor hominis" è impegnata nelle parrocchie a noi affidate, in una pastorale che accorda un'attenzione speciale alla formazione dei fedeli laici, con la creazione, per esempio, di una Scuola parrocchiale di formazione che mira all'approfondimento della vita di fede. Siamo confrontati, in questi contesti, ad una cultura spesso "magica" di fronte alla realtà sacramentale. Bisogna far comprendere non soltanto l' "ex opere operato" dei sacramenti, la grazia del battesimo, ma anche l' "ex opere operantis", l'impegno che da esso deriva per il fedele.

La formazione dei laici è di importanza capitale; essa rappresenta effettivamente una delle vie della riscoperta del battesimo. Più si conosce veramente, più si approfondisce la propria identità cristiana e più si diventa "liberi". Una cultura impregnata di una visione magica è una schiavitù che nasce essenzialmente da sentimenti di paura. Una formazione appropriata aiuta a comprendere come il sacramento del battesimo (e ugualmente quello della cresima, dell'eucaristia ...) ci libera dai condizionamenti e da ogni forma di paura. La formazione è, senza dubbio, una medicina efficace contro le interpretazioni erronee; aiuta i fedeli laici ad assumere con responsabilità la loro dignità battesimale.

L'Africa è un continente di giovani: basta pensare che la fascia d'età tra i 15 e i 24 anni rappresenta più del 20% della popolazione africana; per il resto, il 42 % degli abitanti del continente hanno oggi meno di 15 anni. Come vede questa gioventù penalizzata da situazioni di grande precarietà e che rappresenta in ogni caso l'avvenire della Chiesa?

Occorre investire nella gioventù, nonostante tutte le difficoltà. Bisogna accompagnare i giovani, far loro comprendere che debbono approfittare di questo tempo favorevole per impegnarsi seriamente nella propria formazione umana, scolastica, professionale e nella costruzione del loro avvenire. Bisogna trasmettere loro la speranza, più forte di ogni avversità. Del resto, il continente africano è in pieno cambiamento: dei nuovi orizzonti e delle nuove possibilità si aprono. La globalizzazione è un fenomeno ormai irreversibile anche per l'Africa; occorre dunque prepararsi per prendervi parte con un'identità cristiana. I giovani non devono perdere la speranza di un mondo migliore, né cadere nel non senso della vita e del loro impegno. Devono invece prepararsi, formare il loro carattere, allacciare relazioni piene di senso a livello di famiglia, di gruppo e anche a livello sociale.

Lei partecipa direttamente all'organizzazione delle Giornate Mondiali per la Gioventù. Forte dell'esperienza acquisita, può dirci cosa esse apportano autenticamente ai giovani?

Queste Giornate mirano alla formazione dei giovani e io credo che il metodo adottato, con le catechesi sviluppate dai Vescovi durante le Giornate, sia molto efficace. I giovani hanno la possibilità di porre domande e di essere coinvolti in un'esperienza personale che può marcare la loro vita. Le Giornate sono organizzate intorno ad un tema centrale che interpella la loro fede e la loro esistenza. Sono un'invenzione davvero illuminata; evidentemente giocano un ruolo di rilievo la presenza e i discorsi del Santo Padre, così come l'esperienza della cattolicità della Chiesa che mette in contatto dei giovani provenienti da tutti i continenti. Essi si ritrovano uniti da progetti di avvenire, da aspirazioni e ideali comuni, dal desiderio di vivere un'esistenza piena di senso e di tradurre i principi evangelici in vita vissuta. Le Giornate vogliono essere un segno di speranza per mostrare che c'è la possibilità di modelli alternativi di vita, contro il non senso, la banalità, la schiavitù delle mode del mondo. Alle Giornate di Colonia, le prime di cui avevo una responsabilità diretta, alcuni rappresentanti delle Chiese protestanti mi hanno espresso la loro ammirazione per questa iniziativa coraggiosa della Chiesa Cattolica. Le Giornate Mondiali della Gioventù sono state una grande intuizione di Giovanni Paolo II che corrispondeva pienamente alla sua personalità; anche in età avanzata Giovanni Paolo II ha mantenuto sempre una visione positiva della vita, un'anima veramente giovane.

Lei ha fatto più volte allusione alla sua amicizia personale con il Santo Padre, trasmettendoci ad esempio i suoi saluti speciali. Lei ha lavorato per 19 anni a fianco di Joseph Ratzinger. Al di là della figura di Pontefice e di grande teologo, che cosa ammira di più in lui?

Un primo aspetto che mi ha riempito di stupore e ammirazione, lavorando con lui, è il suo atteggiamento di fronte alla vita. La vita è qualche cosa di estremamente serio per lui. Questo atteggiamento l'ha sempre tradotto negli aspetti più diversi. In quanto Vescovo e poi Cardinale, per esempio, si è sempre preparato bene prima di una celebrazione liturgica. Si potrebbe facilmente credere che quest'uomo, così preparato e colto, poteva affrontare qualsiasi celebrazione senza problema. Al contrario! Sia che si trattasse di incontrare cinque religiose in privato o cinquemila persone in luogo pubblico, tutto doveva essere ugualmente ben preparato. In particolare, fa sempre riferimento con grande attenzione ai testi della liturgia del giorno. Non si accontenta di riflessioni generali, ma si impegna con cura a scoprire quello che la Scrittura dice oggi, questa mattina, a noi, e che ci spinge non solo alla riflessione, ma alla conversione. Allo stesso modo ha sempre preso sul serio l'ascolto dell'altro, del suo interlocutore, con grande attenzione e rispetto. La sua capacità di ascolto mi ha sempre impressionato; sono rimasto molte volte stupito nel vedere come prendeva i suoi appunti, come annotava le sue riflessioni. Inoltre, ha sempre avuto un uso veramente responsabile del tempo; stabiliva i suoi programmi settimanali e mensili con obiettivi precisi, con una grande disciplina. La domenica per lui era un "altro" giorno; in effetti, le domeniche dovevano essere differenti, a cominciare dalle celebrazioni più solenni. Era anche il giorno in cui suonava il pianoforte, faceva lunghe passeggiate ai giardini vaticani. C'erano poi le letture; legge enormemente, non soltanto libri di teologia, ma anche opere di letteratura; segue il pensiero filosofico, è attento ai nuovi orientamenti del pensiero del nostro tempo. Tutti questi aspetti sono stati per me una vera scuola di vita. Mi sono anche occupato, per lunghi anni, delle sue pubblicazioni: libri, articoli, interviste ad extra; anche questo è stato per me un grande arricchimento. Il tempo trascorso a suo fianco mi ha fatto comprendere l'importanza e la responsabilità dei Superiori nel loro ruolo di guida, di direzione, di esempio per gli altri. Il personale laico della Congregazione per la Dottrina della Fede era pieno di ammirazione per questo "Superiore" che cercava di vivere quello che predicava agli altri. Per me Joseph Ratzinger, al di là di quello che è oggi, ha avuto il ruolo di un grande maestro di vita.

 

* Silvia Recchi, membro della Comunità Redemptor hominis, dopo essersi laureata in Scienze Politiche, ha conseguito il dottorato, summa cum laude, in Diritto Canonico alla Pontificia Università Gregoriana, con una tesi sulla vita consacrata.Insegna all'Università Cattolica d'Africa Centrale (Yaoundé - Camerun) con il titolo di Direttrice emerita del Dipartimento di Diritto Canonico. È consulente giuridica della Conferenza dei Superiori Maggiori del Camerun e dell'ACERAC (Associazione delle Conferenze Episcopali d'Africa Centrale). È rappresentante per l'Africa del Consorzio Internazionale "Droit Canonique et culture". È membro della redazione della rivista "Quaderni di diritto ecclesiale" e autrice del commento ai canoni sugli Istituti di vita consacrata nel Codice di Diritto Canonico Commentato (a cura della redazione di "Quaderni di diritto ecclesiale"), Ancora, Milano 20093.Ha pubblicato numerosi articoli in riviste specializzate di diritto canonico e di vita consacrata.

 

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