Riassunto della mattina della seconda giornata

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Nella mattinata di sabato 5 dicembre si è voluto riflettere sulle difficoltà che le donne devono affrontare in ambito lavorativo ed anche offrire qualche spunto di riflessione per un’adeguata armonizzazione. Per quanto riguarda le difficoltà, Helen Alvarè ha voluto mettere in luce che il dibattito sulla dicotomia tra lavoro e famiglia non sempre aiuta le donne a fare chiarezza, anche per la forte ideologizzazione di tale dibattito. Si parla molto di riuscire a trovare il tanto auspicato equilibrio tra gestione della casa e lavoro professionale, ma la ricerca delle soluzioni non porta quasi mai a operare un chiaro riconoscimento del lavoro di cura portato avanti dalle donne in famiglia. Nel considerare questa dicotomia si svela anche la difficoltà delle donne a capire cosa esse realmente vogliano. È, dunque, necessario secondo la Halvaré che le donne, innanzi tutto, possano individuare qual sia la loro situazione reale (non ideologica) e porre in luce l’inadeguatezza di molte istanze che pretendono di rappresentarle. Ilva Myriam Hoyos ha tentato, a seguire, di rispondere alla domanda sull’utilità delle quote rosa, che se da una parte hanno avuto il merito di ampliare la partecipazione femminile al mondo del lavoro e della politica, dall’altra non sono state in grado di apportare dei vantaggi alla situazione delle donne. La spiegazione a tale fenomeno va ricercata, secondo la Hoyos, nell’odierna crisi della verità: una crisi che riguarda il bene comune e la legge naturale e che ha fatto perdere i fondamenti sull’uomo e sulla vita. Un’altra domanda a cui ha provato a replicare Maria Teresa Russo è stata quella inerente la bellezza. Affrontando il tema del corpo e della dissociazione tra il corpo e l’io, che sta alla base di molte derive del nostro tempo – come ad esempio la teoria del gender, la ricerca del corpo perfetto e la richiesta eutanasica – la Russo ha posto in risalto l’odierno “dovere alla bellezza”, che sembra riguardare tutti, uomini e donne, e che influisce certamente in tutti gli ambiti della vita, compreso il mondo del lavoro. L’auspicio della relatrice è stato quello che in ambito professionale si possa arrivare a riconoscere la dignità della persona, che si esprime con il corpo, ma che non si riduce ad esso. Questo sarà possibile solo colmando quella dissociazione usata come premessa, che consentirà di considerare la bellezza non come un valore di scambio ma come espressione di un’interiorità.

Nella ricerca delle soluzioni alle difficoltà affrontate, Eugenia Rocella ha auspicato un welfare mirato e politiche di conciliazione che intervengano sul piano culturale, che sappiano valorizzare e riconoscere socialmente il lavoro di cura, di assistenza e di sostegno alle fragilità umane di cui le donne si fanno carico e che costituiscono un patrimonio fondamentale, ma oscuro e dato per scontato. Mina Ramirez si è soffermata invece sulla capacità della famiglia di influenzare in modo positivo e arricchente la formazione e il futuro professionale delle nuove generazioni, oltreché il loro sano sviluppo psico-fisico. La famiglia, per la sua capacità di trasmettere valori umani e sociali è certamente da considerare il più importante motore di sviluppo della società e in tal senso andrebbe tutelata e favorita. A confermare la tesi della Ramirez, sono intervenuti Elizabeth Schiltz e Bryan Sanderson, che hanno voluto sottolineare come la maternità e il lavoro di cura portato avanti dalle donne, da una parte producono un grande beneficio alla società, giacché prendono in carico il benessere delle generazioni future e delle ultime generazioni, dall’altra favoriscono il potenziamento di tutta una serie di competenze che producono un grande vantaggio al lavoro professionale.

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